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lettere di fra paolo sarpi. | 41 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Sarpi - Lettere, vol.2, Barbèra, 1863.djvu{{padleft:49|3|0]]stesso feci risposta. Dal punto delle riserve dipende la salvezza di questa Repubblica. Ella sa quanto sia difficile a guarire un morbo che non è sentito dall’ammalato, e si scambia anzi dallo stesso per buona salute: i rimedii anche più necessari e salutiferi si hanno a schifo. In prima, bisogna studiarsi di fargli conoscere il male; e in ciò io mi affatico, dimostrando quanto sia grave danno lo avere nelle proprie città e terre, numerose e ricche persone che si professano obbligate di ogni lor bene a straniero imperante, che, senza crescere materialmente i confini, può della sua gran potenza farsi così una leva alla signoria universale. Quanto poi al vederci un modo d’uscita, parlerò franco colla S.V. Se durerà in Italia questa pace, o più veramente codardia di schiavi, non ci spero; se poi ci sveglierà la guerra, allora sì. Dunque sta a voi. Io prego Dio che voglia far nascere quel che è per tornare in sua maggior gloria. Ma da parte sì gravi cose, e veniamo alle generali.
Sa che, or fanno due anni e più, fu dagli Olandesi scoperto un istrumento, pel quale si vedono cose lontane, che altrimenti o non apparirebbero o solo con oscurezza. Di questo trovato un nostro matematico di Padova e altri Italiani intendenti della materia principiarono a valersi per l’astronomia, e dalla esperienza avvalorati, lo ridussero più adatto e perfezionato.[1] Tale istrumento è composto, come Ella sa, di due lenti (costà le chiamano lunette),
- ↑ Vedasi il tom. I, pag. 181 e 279. Dalle parole del Sarpi può argomentarsi, come gli studi e gli esperimenti dei nostri su tal materia, in poco più di sei mesi avessero progredito.