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82 | lettere di fra paolo sarpi. |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Sarpi - Lettere, vol.2, Barbèra, 1863.djvu{{padleft:90|3|0]]sione degna d’elogio e di premio: approvare un fatto torna quasi lo stesso che consigliarlo.
Io stupisco come il re abbia portato in pace l’oltracotanza del Gunter, il quale non peritandosi dal predicare contro i suoi editti, ne assalì ancora la fama. Inoltre, il soffrire che un privato, di moto suo e senza che il principe lo richieda, emetta, segnatamente in pubblico, un giudizio, è troppa indulgenza, la quale riesce da ultimo a rovina dei re. Il re favoreggia i Gesuiti, avvisandosi per tal guisa di declinare le loro trame; ma quanto si pensa sfuggirle, altrettanto vi corre incontro. Se anco per giuramento affermassero i Gesuiti di Francia di non far buona quella dottrina, non potrei loro dar fede; perchè con equivoci, restrizioni mentali o tacite riserve fanno essi prova di gabbare Iddio. Quand’Ella ha ascoltato un gesuita, faccia conto di averli uditi tutti quanti. Non eccettuo i francesi: la vostra gente è bensì schietta e verace, quando per proprio senno governisi; ma se dalle altrui arti si lasci abbindolare, avanza la tristizia degli altri. Che direbb’Ella, se dessi il primato della nequizia ai Gesuiti di Francia?[1] Mi starebbe grandemente a cuore che si ribattesse dai teologi con qualche scrittura un insegnamento così abbominevole; ma temo che la Sorbona adempia a questo incarico alquanto rimessamente. Vedo, infatti, che essa è troppo ligia ai Loioliti, degenerando così dalla Sorbona antica e veramente francese: ma contro a tal peste pubblica
- ↑ Qualcuno si sentirà qui tratto a sclamare: — O buon Sarpi, perchè non sei tu vivo, a fine di farci noto il giudizio che portar dovresti intorno ai gesuiti e ai gesuitanti Francesi d’oggidì!