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xii | prefazione |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Satire (Giovenale).djvu{{padleft:12|3|0]]dimostrasse molta tenerezza, e spesso gl’indirizzasse dei versi.[1] E infatti un animo libero e incorrotto come si rivela Giovenale ne’ suoi scritti, non poteva dirsela troppo col perpetuo lodatore di un Domiziano, di un Crispino, e di un Paride;[2] sui quali il Nostro mena così aspramente il flagello.[3] Però mentre nelle sue Satire non dimentica quasi nessuno dei poeti di quel tempo, il nome di costui non vi apparisce nè in bene nè in male. La qual cosa potrà forse parere ad alcuno ingratitudine o freddezza di cuore; e a me sembra invece lodevole e rara indipendenza di carattere, sentimento profondo d’incorruttibile e rigorosa giustizia. Il poeta satirico, se vuole esercitare degnamente l’arte sua e non tradire la pubblica morale, di cui si fa sacerdote, non deve dispensare il biasimo e la lode, come gli consiglia l’interesse, nè per simpatie o per ripicchi; ma secondo il merito delle persone che gli capitano sotto. Le sue bilancie vogliono esser giuste come quelle di Temi; e l’animo suo inflessibile e della tempra di quello del primo Bruto, che firmava la sentenza di morte degli stessi suoi figli. Nè giova il dire che Stazio non iscese men basso di Marziale nell’adular Domiziano, e nullostante fu lodato dal Nostro. Primieramente mi