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10 | satire |
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Poichè veneratissimo fra noi
Delle ricchezze è il Nume; benchè altari
Finor non t’erigemmo, o scelerata
Pecunia; e la Moneta ancora un tempio
Da noi non ebbe, come già la Pace,
La Fede, la Vittoria, e la Virtude,
E la Concordia; le cui volte echeggiano
Al pigolar dei salutati nidi.[1]
Se i primi cittadini fanno il computo,
Ciò che renda la sportola, e di quanto
L’entrata s’avvantaggi in capo all’anno;
Che far denno i clienti, a cui la toga,
Le scarpe, infin da far bollir la pentola,
Tutto viene di là? Fino in lettiga
Vanno molti a pigliar quei pochi soldi.[2]
Qui tu vedi un marito, che s’affanna
Strascicando a fatica la consorte
O maliscente, o colla pancia agli occhi:
Là un altro, già da tutti conosciuto
Per volpe vecchia, che la vuota e chiusa
Portantina mostrando e non la moglie
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- ↑ Le parole del poeta in questo luogo hanno oggi dell’enimmatico, e son queste: quaeque salutato crepitat concordia nido. Tra i diversi e opposti pareri degl’interpreti il più verosimile parmi questo di V. Fabre de Narbonne. Sotto Domiziano il tempio della Concordia, dove il Senato soleva raccogliersi più spesso, fu abbandonato; poiché questo principe convocava quasi sempre i Padri nel suo palazzo d’Alba. Anche Nerva e Traiano lo lasciarono nello stesso abbandono, talchè le cicogne cominciarono a nidificarvi dentro. Non è egli probabile che il Nostro abbia voluto satireggiare questo abbandono? Un tempio che tante volte avea raccolto in sè quell’assemblea di Numi, come la chiamava l’ambasciatore di Pirro, era divenuto una cova di cicogne; il pigolare di questi uccelli era succeduto ai liberi parlari dei vincitori di Annibale.
- ↑ Centum quadrantes. Il quadrante era la quarta parte dell’asse, e valeva presso a poco due centesimi dei nostri. Cento quadranti facevano dieci sesterzi minori, e circa due lire italiane. — Di tanto era generalmente la sportola.