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22 satire

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  Non credere all’aspetto: ogni vicuzzo
È pien di bagascioni che si danno
L’aria di gravità. Tu gridi contro
Le laidezze altrui, tu fra i cinedi
Socrateggianti il più famoso e sozzo?
L’ispide membra, è ver, le dure e folte
Setole delle braccia, un cor feroce
Promettono di te; ma delle tue
Prodezze il sol chirurgo ha in man la prova,
Quando mena il coltello, e se la ride.
  Più di tacer che di parlare amanti,
Misuran le parole:[1] hanno i capelli,
Come le ciglia, corti.[2] È mille volte
Più sincero e più schietto Peribomio,
Che la sua pecca al volto e all’andatura
Rivela; ond’io ne do la colpa agli astri.
L’ingenua e pazza foja di siffatti
Merta pietà non che perdono: e peggio
Son quelli assai, che come tanti Alcidi
Si scaglian contro simili brutture;
E mentre han sempre la virtute in bocca,

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  1. Il parlar rado e poco è da persone autorevoli. Parlavan rado, con voci soavi: dice Dante, volendoci ritrarre la filosofica famiglia del Maestro di color che sanno.
  2. Portare i capelli lunghi era, come si direbbe oggi, da coglie: però li stoici si tosavano rasente la cotenna.
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