< Pagina:Satire (Giovenale).djvu
Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta.

di giovenale 23

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Satire (Giovenale).djvu{{padleft:135|3|0]]

Si tuffano nel brago. «O Sesto, o mostro
Di libidin nefanda, aver poss’io
Suggezione di te?» grida Varillo
Infame, «ove son io di te più vile?»
Chi è dritto, dia la baja allo sbilenco,[1]
E il bianco al moro; ma si può sentire
Della sedizïon sparlare i Gracchi?
Chi non impreca il mondo alla rovescia,
Se Verre ha in uggia i ladri, e gli assassini
Milone? se gli adulteri condanna
Un Clodio, ed i Cetegi un Catilina?
E se di Silla contro il fiero editto
Alzan la voce i tre scolari suoi?[2]
Tale, pochi anni addietro, era il contegno
Dell’adultero Prence, che polluto
D’incestuosi abbracciamenti, allora
Richiamava in vigor le più severe
Leggi da spaventar Venere e Marte,
Non che gli uomini tutti, quando appunto
Giulia nipote il fianco, sì fecondo
Di tanti aborti, apriva, e fuor buttava

caricamento di la:Page:Satire (Giovenale).djvu/135 in corso...

  1. Un nostro proverbio dice: Chi burla lo zoppo, guardi di esser diritto.
  2. I triunviri Ottaviano, Lepido e Antonio.
Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.