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Strappi di carne simili allo zio.[1]
Non è dunque il dover se fin la feccia
Del lupanare i finti Scauri sprezza,
E con i morsi ai frizzi lor risponde?
Un di costor, che con fiero cipiglio
Urlava ogni momento: «or dove sei
O legge giulia?[2] dormi?» a Lauronia[3]
Fe scappar la pazienza; e sogghignando
Ella gli disse: «o tempi fortunati,
Che un sì forte puntello dei costumi
Trovano in te! la pudicizia in Roma
Omai rifiorirà, poichè dal cielo
Piovve il terzo Caton. Ma le pomate,
Onde ti sa l’irsuto collo, dove,
Dimmi, le compri tu? senza arrossire
Mostrami la bottega e il bottegajo.
Che del resto, se gli ordini e le leggi
Debbonsi rinfruscar, prima a citarsi
Sia la legge Scantinia.[4] Osserva e scruta
Gli uomini prima: essi di noi fan peggio;
Ma stretti insieme come una falange.
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- ↑ Questo principe era Domiziano, il quale richiamava in vigore le leggi più severe d’Augusto contro il mal costume, nel mentre che teneva una pratica scandalosa con Giulia figlia di suo fratello Tito e maritata a Flavio Sabino, al quale la rapì. Essa più volte ingravidò, e sconciossi, sicchè finalmente ne morì. Così racconta Svetonio. Dom. c. 22.
- ↑ Satire (Giovenale).djvu/147
- ↑ Per bocca di questa Lauronia, donna impudica e linguacciuta, mostra il poeta come gli uomini erano più scostumati e dissoluti delle donne; le quali non usurpavano almeno i diritti e gli uffici maschili, mentre gli uomini s’infemminavano in tutto e per tutto.
- ↑ Legge contro i bagascioni che si prostituivano e corrompevano gli altri.