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26 | satire |
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Colla moglie di lui. Quella fia ricca
Donna, che giace terza in ampio letto.
Perciò prendi marito, e acqua in bocca;
Frutta il silenzio gemme e diamanti.
E dopo ciò così dura sentenza
Si dà di noi: questo si chiama, ai corvi
Far grazia, e dare addosso alle colombe».
A queste verità chiare e lampanti,
Col cor tremante scapolaron via
Le nostre stoichesse; indizio certo
Che Lauronia li avea colti sul vivo.
Che non faranno gli altri, se tu, o Cretico,
D’ermisino[1] ti vesti; e mentre il popolo
Di tanta audacia sbalordisce e mormora,
Sali in bigoncia, e di tua lingua i fulmini
Sulle Pollitte scagli e sulle Procule?[2]
Fabulla è condannata per adultera,
E Carfinia, se vuoi, merita il simile:
Ma nessuna, sebbene in tal discredito,
In questa veste vorria farsi scorgere.
― «Ma luglio scotta; io brucio». ― E tu piuttosto
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- ↑ Il testo ha multicia, che il Calepino spiega: indumenta, minutissimis filis contextaì; e lo scoliaste: vestes molliori textas sub stamine, quibus solent uti puellae. Tali vestiti dunque dovevano essere di un drappo di finissimo telaggio e trasparente; che io, in mancanza di altro termine più proprio, ho creduto poter tradurre ermisino.
- ↑ Due donne di mala vita.