< Pagina:Satire (Giovenale).djvu
Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta.
26 satire

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Satire (Giovenale).djvu{{padleft:138|3|0]]

Colla moglie di lui. Quella fia ricca
Donna, che giace terza in ampio letto.
Perciò prendi marito, e acqua in bocca;
Frutta il silenzio gemme e diamanti.
E dopo ciò così dura sentenza
Si dà di noi: questo si chiama, ai corvi
Far grazia, e dare addosso alle colombe».
  A queste verità chiare e lampanti,
Col cor tremante scapolaron via
Le nostre stoichesse; indizio certo
Che Lauronia li avea colti sul vivo.
  Che non faranno gli altri, se tu, o Cretico,
D’ermisino[1] ti vesti; e mentre il popolo
Di tanta audacia sbalordisce e mormora,
Sali in bigoncia, e di tua lingua i fulmini
Sulle Pollitte scagli e sulle Procule?[2]
Fabulla è condannata per adultera,
E Carfinia, se vuoi, merita il simile:
Ma nessuna, sebbene in tal discredito,
In questa veste vorria farsi scorgere.
― «Ma luglio scotta; io brucio». ― E tu piuttosto

caricamento di la:Page:Satire (Giovenale).djvu/138 in corso...

  1. Il testo ha multicia, che il Calepino spiega: indumenta, minutissimis filis contextaì; e lo scoliaste: vestes molliori textas sub stamine, quibus solent uti puellae. Tali vestiti dunque dovevano essere di un drappo di finissimo telaggio e trasparente; che io, in mancanza di altro termine più proprio, ho creduto poter tradurre ermisino.
  2. Due donne di mala vita.
Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.