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30 satire

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Creanza al desco; qui gl’infami riti
Di Cibele sfacciata; e la licenza
Sfrenandosi cinguetta oscenamente.
E più d’ogni altro in fanatismo eccede
«Un vecchio bianco per antico pelo»,[1]
Pontefice del culto: esempio raro
E memorando di smodata gola;
Maestro da pagarsi a peso d’oro.
Che fan dunque costor? ben fòra il tempo
Di pigliare un rasojo, e a mo’ de’ Frigi
Smembrarsi dell’inutile brincello.
  A un sonator di corno o di trombetta
Recava in dote quattrocentomila
Sesterzi Gracco: firmossi la scritta:
Fur dati i mirallegri: s’imbandisce
Un lauto pranzo; e la novella sposa
Si giacque col marito.[2] O maggiorenti,
Bisogna qui l’Auruspice o il Censore?[3]
Avresti, se è permesso, più ribrezzo,
E maggior mostro ti parrebbe mai,
Se una donna un vitello, od una vacca

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  1. È una tirata contro Domiziano, che era Pontefice del collegio dei Sacerdoti di Minerva creati da lui, e dei quali il poeta seguita a narrare le belle imprese.
  2. Per togliere a Giovenale ogni taccia di esagerazione, basti rammentare che Nerone strinse con tutte le formalità della legge un simile matrimonio con Sporo, come ne fanno testimonianza Tacito, Ann. xv. 37; Svetonio, Nero; Dione Cassio, lxiii. 13.
  3. Il primo per espiare, il secondo per punire simili infamie.
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