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32 | satire |
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Allo stato civil. Se non che a queste
Spose una grande spina in cor sta fitta.
Che partorir non ponno, e colla prole
Ritenere i mariti. Ma fa bene
Natura di non cedere ai capricci
Dell’uom le leggi, onde governa i corpi.
Sterili si morranno; e lor non giova
La medichessa e ben paffuta Lide
Coi barattoli suoi; nè l’aver porto
Ambe le mani all’agile Luperco.[1]
[2] (Ma si coperse di maggior vergogna
Un altro Gracco, quando col tridente
In mano e scamiciato in mezzo al circo
A correre si diè coi gladiatori:
Ei de’ Capitolini e dei Marcelli
Per nascita più chiaro, e dei nipoti
Di Catulo e di Paolo e dei Fabi,
E di quanti altri siedono al teatro
Nei primi posti; non escluso quello,
Pel cui favore egli gettò la rete).[3]
Che sonvi i Mani e un sotterraneo regno,
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- ↑ I Luperchi erano sacerdoti del Dio Pane, i quali nelle feste lupercali scorrevano per la città, percotendo con uno staffile le mani delle donne, che loro le porgevano, sperandone la fecondità.
- ↑ Credo anch’io col Ribbeck che questo brano, dove si fa colpa a un altro Gracco d’essere sceso nel circo a combattere coi gladiatori, sia una insensata interpolazione; e che dopo il verso, Ambe le palme all’agile Luperco, debba unirsi subito l’altro, Che sonvi i Mani e un sotterraneo regno. Non è credibile che Giovenale pensasse che un nobile, facendosi gladiatore, avea commesso un’azione più indegna dell’altro, che si era infemminato nel modo detto di sopra.
- ↑ Parlasi qui di una specie di lotta che si faceva tra due gladiatori, detti Retiarius l’uno, e Secutor l’altro. Il primo retiarius era armato di una gran rete e di un tridente, fuscina, e tutta la sua destrezza consisteva nel lanciare questa rete sulla testa dell’avversario Secutor in modo da invilupparvelodentro; e se il tiro gli riusciva, assaltava il medesimo col tridente; ma se falliva il colpo, essendo egli sprovvisto d’ogni armatura difensiva, si dava subito alla fuga, sforzandosi di raccogliere la rete per tirarla un’altra volta all’avversario prima di essere da lui raggiunto. Per intender poi l’ultimo verso, è a sapersi che d’ordinario era il Pretore, che dava a sue spese siffatti spettacoli al popolo, che n’era ghiottissimo.