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di giovenale | 33 |
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E negre rane nella stigia gora,
E un navalestro, e un’unica barchetta,
Che l’anime trasporta a mille a mille;
Più nol credono i bimbi, se ne scarti
Quelli che van senza pagare al bagno.[1]
Ma poni che sia vero: or che diranno
Curio, Fabrizio, ed ambo li Scipioni,
E Camillo, e di Cremera lo stuolo,
E tanta gioventù perita a Canne,
E gli altri prodi; allorchè quindi giunge
Un’ombra di tal gente a lor dinanzi?
Purificarsi essi vorrian, se il fuoco,
Lo zolfo, l’acqua e il lauro avesser pronti.
Ahi miseri! laggiù tutti travolti
Noi siam pur troppo! Oltre l’Ibernia, l’armi
Spingemmo, e le pur dianzi Orcadi vinte,
E la Bretagna, ove la notte è breve:
Ma quelle cose che or si fanno in Roma
Dal popol vincitor, no, non si fanno
Da quei popoli vinti. ― «Eppur si narra,
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- ↑ I piccoli ragazzi erano ammessi ai pubblici bagni senza pagar nulla.