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40 | satire |
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Or che un poeta a recitarti venga
Suoi versi a mezzo agosto, e cento e mille
Altri casacci che si danno in questa
Crudelissima Roma? ― In quella dunque
Che sul barroccio assettansi le robe
Di casa, meco egli fermossi un poco
All’umida Capena[1] e presso gli archi
Vetusti, ove solea recarsi Numa
Ai notturni colloqui della Ninfa:
Ed ora il sacro fonte, il bosco e il tempio
S’affittano a’ Giudei, ch’hanno soltanto
Per tutta masserizia una gavagna
E un po’ di fieno; perchè là non havvi
Un arboscel che al fisco il suo tributo
Non paghi: e fuor cacciate le Camene,
La selva è fatta asilo di pitocchi.[2]
D’Egeria discendemmo nella valle
E nelle grotte, dalle vere omai
Così diverse. Oh come venerando
Viepiù sarìa della Fontana il Nume,
Se d’erba verde un margine d’intorno
Chiudesse l’onde, e non facesser’onta
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- ↑ La porta Capena, oggi di S. Sebastiano, era ai piedi dell’Aventino, e metteva sulla via Appia. È detta umida, perchè lì vicino passava un antico acquedotto.
- ↑ Quando un editto di Domiziano cacciò di Roma gli Ebrei (e pare che a quel tempo si comprendessero sotto questo nome anche i Cristiani), fu dato loro il permesso di stabilirsi nella foresta d’Aricia, che era l’antico bosco della Ninfa Egeria. Viveano molto meschinamente, facendo il mestiere di mendicanti e d’indovini.