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42 satire

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Pei nostri Municipi e pei villaggi,
Andâr famosi, indiavolata orchestra
Facendo a saltatori e giocolieri.
Or essi, a spese lor, giuochi e spettacoli
Danno; e col fin d’ingrazionirsi il popolo,
Sol ch’egli diane un cenno pur col pollice,[1]
Ammazzan chicchessìa: poi di là reduci
Vanno a dir sopra alle latrine pubbliche:
Anzi ne fan di tutte: e che miracolo?
Non son essi di quelli che dagl’infimi
Solleva la fortuna ai gradi massimi,
Quando un poco di spasso si vuol prendere?
  Che debbo io fare in Roma? a dir bugìe
Non ci ho la gamba; nè lodar, nè chiedere
Un libraccio non so; d’astrologia
Non me n’intendo un fico; ad un figliuolo
Predir del padre suo la pronta morte
Non mi dà il cor; gl’entragni delle bòtte
Non ho studiato mai. Del cicisbeo
I messaggi e i regali all’altrui donna
Recar sappian pur gli altri; ai ladri il sacco

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  1. Quando un gladiatore era ferito domandava grazia della vita a chi soprintendeva allo spettacolo, e questi consultava il popolo; il quale assentiva o dissentiva secondo che mostrava la mano col pollice piegato, o ritto e rivolto verso il gladiatore.
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