Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
46 | satire |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Satire (Giovenale).djvu{{padleft:158|3|0]]
Ma v’è di peggio: in adular maestra
Questa gentaglia ognor leva alle stelle
Il bel visino ed il parlar sapiente
Del suo padrone, e sia pure un camorro
E un babbuasso. Se lungo e sottile
Ha il collo come un tisico, ei l’agguaglia
Alla cervice d’Ercole, che tiene
Per aria e strozza Anteo; se sbercia e stona
Con voce esile e peggio d’un galletto,
Che alla gallina sua becchi la cresta,
«Oh che voce!» egli grida, «oh maraviglia!»
Queste cose anche noi lodar possiamo,
Ma sol credesi a lui. Si può far meglio,
Quando in commedia o Taide, o una dama,
O la servetta Dori rappresenta
Tutta agghindata in guarnelletto bigio?[1]
Attor non già, ma vera donna sembra
Che parli: e tu diresti fin le parti
Sotto il bellico al tutto sgombre e pari,
E sol divise da piccola tacca.
A petto a lui non son più nulla Antioco,
caricamento di la:Page:Satire (Giovenale).djvu/158 in corso...
- ↑ Le donne presso gli antichi non comparivano mai sul teatro, e le loro parti erano sostenute da uomini. A ciò giovava molto la maschera. Quelli che in questo luogo del testo leggono: Dorida nullo, invece di pullo cultam palliolo; non hanno badato alla contradizione che è tra cultam e nullo. Se culta vuol dire abbigliata con studio e ricercatezza, come può stare d’accordo con nullo che nega qualunque abbigliamento? — Dunque pullo è la sola e vera lezione.