< Pagina:Satire (Giovenale).djvu
Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta.
52 satire

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Satire (Giovenale).djvu{{padleft:164|3|0]]

Qui costa un occhio anche un meschino alloggio,
Dei servi il vitto, un occhio; una frugale
Cenetta, un occhio. Qui mangiare in piatti
Di terra un si vergogna: eppur sì a vile
Ciò non avrìa dei Marsi e dei Sabini
Seduto al desco. Là fôra contento
Pur d’un giubbon verdastro e grossolano.
  In gran parte d’Italia, se dobbiamo
Crederla verità, nessuno indossa
La toga che da morto.[1] Se talvolta
A festeggiare un qualche dì solenne
Si raccolgon di frasche in un teatro;
E finalmente la già nota farsa
Ricomparisce sulle scene, e i rozzi
Fanciulletti nel grembo delle madri
Si rannicchian tremando, impauriti
Della boccaccia spalancata e truce
Delle pallide maschere; tu vedi
Gli abiti eguali; e somiglianti in tutto
Poveri e ricchi, eccettuando i sommi
Edili; che a mostrar d’onore un segno

caricamento di la:Page:Satire (Giovenale).djvu/164 in corso...

  1. Nota che nelle altre città d’Italia si andava più alla buona, nè v’era tanta etichetta. Si vede che anche i Gentili aveano la pietosa costumanza di mandare i morti alla sepoltura vestiti dei panni più onorevoli.
Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.