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di giovenale | 63 |
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Trottano tutti qua, come a pastura,
E stilettando fan le loro faccende.
Eppure in qual fucina, a quale incude
Non si batton catene? Una gran parte
Del ferro va in manette, talchè io temo
Che al vomer manchi, al sarchio ed alla marra.
O ben felici gli avi de' nostri avi!
O fortunata età, che vide in Roma,
Governata dai regni e dai tribuni
Una sola prigion bastare a tutti! -
Altre e molte ragioni addur potrei;
Ma scalpitano i muli, e il sol declina
Verso il tramonto: è tempo di partire.
Già da un pezzo, schioccando colla frusta,
Mi chiama il vetturale. Dunque addio:
Ricordati d'Umbrizio; ed ogni volta
Che, per sciantarti un poco, alla diletta
Aquino tua[1] da Roma il cammin prendi,
Me pur strappa da Cuma: ed alla vostra
Cerere Elvina[2] ed a Diana anch'io
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- ↑ Aquino era la patria di Giovenale.
- ↑ Cerere e Diana erano molto in venerazione presso gli abitanti di Aquino; forse perchè dediti principalmente all’agricoltura e alla caccia. Da una iscrizione, disseppellita pochi anni sono in quei dintorni, si sa che a Cerere aveva inalzato un tempietto il nostro poeta. L’aggiunto di Elvina dato a questa Dea, chi vuole che le venisse da una fontana di tal nome, che scaturiva presso del suo tempio; chi dal biondo (helvino) colore delle spighe.