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74 satire

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  Nel tempo che del mondo semivivo
Facea strazio l'ultimo dei Flavi;[1]
E sotto il giogo di Nerone il calvo
Si stava Roma; nell'Adriaco mare
Presso il tempio, che a Venere torreggia
Per la pietà della dorica Ancona,[2]
Fu preso, e tutta empì la rete un rombo
Maravigliosamente bello e grosso;
E per nulla inferiore a quei che il ghiaccio
Cuopre della Meotica palude;[3]
E che dal lungo accidioso inverno
Resi torpidi e grassi, son travolti
Per la corrente nel furioso Eussino,
Tosto che i soli han dimojato il gelo.
Una tal maraviglia è destinata,
Dal padron della barca e della rete,
Al Pontefice Massimo.[4] E chi mai
Avrebbe ardito di metterlo in mostra
O comperarlo; mentre quella spiaggia

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  1. La famiglia Flavia avea dato a Roma tre imperatori; Vespasiano, Tito e Domiziano. Quest'ultimo avea la testa pelata, ed era perciò soprannominato Nerone il calvo, come ci fa sapere anche Ausonio in quel verso: quem dixit calvum sua Roma Neronem. Dice Svetonio che Domiziano era grandemente mortificato di questo suo difetto, e pigliava a traverso qualunque allusione ad esso.
  2. Ancona è detta dorica, perchè secondo Strabone fu fondata da una colonia di Dori o Greci, fuggita da Siracusa sotto la tirannìa di Dionisio il vecchio.
  3. Questa palude formata dal Tanai è tra l'Asia e l'Europa, e si scarica nel Mar Nero.
  4. A Domiziano. Anche la dignità di sommo sacerdote era stata presa dagl'Imperatori. Di più Domiziano aveva fondato un collegio di sacerdoti in Alba, dove passava molto tempo e dove accadde il fatto che forma il soggetto di questa satira.
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