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prefazione | xxi |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Satire (Giovenale).djvu{{padleft:21|3|0]]detto esilio si volle apparentemente coprire col mantello di un onore e ufficio militare: e due di essi ci assicurano che l’intenzione si fu di esporre il poeta a quella morte, che si sarebbe voluto architettare contro di lui in Roma, ma ne mancò l’opportuniià.[1] La qual finzione e ferocia si addicono benissimo al terzo imperatore della gente Flavia; del quale si legge, «che fu bassamente codardo e finto; di una crudeltà grande inaspettata e astuta; che sotto le apparenze dell’amore celava odj immortali, e facea buon viso a quelli che destinava alla morte, studiandosi che ne ricadesse sugli altri l’odiosità; che una volta fece venire nella sua stanza, e volle con sè a pranzo un cittadino, che il giorno dopo dovea per suo comando salir sulla forca; e mostrossi con lui tanto affabile e amorevole, che quegli partissene tutto tranquillo e allegro».[2] Qual libertà poi lasciasse agli scrittori, lo dicono la morte di Erennio Senecione e di Aruleno Rustico, e i loro libri fatti ardere nel foco, e le loro famiglie cacciate in bando.[3]
E credo che sia da farsi anco un’altra considerazione. In tutte le sue Satire il poeta non ha
- ↑ «Qua ex re commotus, nulla alia occasione reperta struendae mortis in Juvenalem, sub honoris praetextu fecit eum praefectum militis contra Scotos, qui bellum contra Romanos moverant, ut interficeretur Iuvenalis».
- ↑ Svet., Domit. Plin., Paneg. Epist. III, 11. Dione, LXVII.
- ↑ Tacit., Agric. II, 45. Svet., Domit. 10. — Dione, LXVII. Plin. Epist. I, 5. II, 18.