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xl | prefazione |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Satire (Giovenale).djvu{{padleft:40|3|0]]con ciò vuole intendersi ch’egli avrebbe voluto ritrarre Roma e l’impero da quella cloaca di vizj e di turpitudini, in cui l’aveano travolta il cieco assolutismo dei governanti, e la pecoresca servilità dei sudditi; e ricondurla a quella libera semplicità e rettitudine dell’antico vivere; quando «una modesta fortuna, i brevi sonni e le mani incallite al tosco filatojo mantenevano in castità le latine donne;[1] quando alcuno che era stato dittatore e console tre volte, vedeasi, all’ora posta, scendere colla zappa in ispalla dallo scassato monte, per recarsi a un invito di pranzo;[2] quando insomma i tempi poteano dirsi veramente felici, perchè una sola carcere in Roma bastava a tutti i colpevoli; mentre di presente, ancorchè la più gran parte del ferro si consumasse in catene, tanto da doversi temere che verrebbe a mancare per l’uso dell’agricoltura, non vi era più sicurtà neppure nella capitale».[3]
Chi disse Giovenale repubblicano, forse volle dir democratico. E democratico infatti egli si rivela in più luoghi: non di quella democrazia dissennata, che adula e lusinga le plebi, facendo loro sperare l’impossibile; bensì di quella, che pigliando a cuore i veri bisogni e le sofferenze delle infime classi, fa ogni opera di rialzarne il