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prefazione xliii

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Satire (Giovenale).djvu{{padleft:43|3|0]]gl’incensi e i sacrifizj offertigli inutilmente dai devoti;[1] e intima a Marte di sfrattare da Roma, della quale non si dava più alcun pensiero.[2] Ma son queste le prove del suo disprezzo degli Dei: o non piuttosto le forme più comuni di un linguaggio passionato, ma naturale in chi vede le cose del mondo andare a rovescio; nè seppe mai persuadere a se stesso che ciò dipenda unicamente dal caso? Di tali risentimenti contro la divinità, poco rispettosi se vuolsi, ma consentiti dalle ragioni dell’arte, potrei riferirne esempj senza numero anche dagli scrittori di fede più sincera; ma perchè ad ognuno vengono in mente da sè, per amore di brevità me ne voglio passare. Del resto, noi sappiamo per testimonianza delle sue stesse parole,[3] e dell’epigrafe da me più innanzi ricordata, che Giovenale ebbe una particolar devozione per Cerere Elvina, alla quale avea inalzato un tempietto col suo danaro; e che in certi fausti eventi, come per il ritorno del suo amico Catullo, scampato quasi per miracolo da una terribile burrasca di mare, sacrificava vittime a Giove, e offriva corone e incensi ai domestici Lari:[4] cose tutte che non vanno punto d’accordo col disprezzo dei Numi. Ma vi è di più: egli lamenta anzi in più luoghi questo di-

  1. Sat. XIII, 115.
  2. Sat. II, 131.
  3. Sat. III, 320 segg.
  4. Sat. XII, segg.
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