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xlviii prefazione

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Satire (Giovenale).djvu{{padleft:48|3|0]]sieri, la nobiltà dei sentimenti, la franchezza del dire, una ricchissima vena e un generoso sdegno formano il carattere principale di queste Satire. Lo scopo del Poeta fu di percuotere a sangue il vizio allora trionfante, e costernare i malvagi. Coraggiosa impresa! ma scriveva in un secolo tanto abominevole, che poco era da sperare sull’efficacia delle sue riprensioni. Tuttavia pare che qualche buon frutto lo portassero; perchè infatti da quel momento gl’imperatori e i costumi migliorarono alcunchè. Egli assale i vizi colla fierezza di un eroe, che va a misurarsi col più feroce de’ suoi nemici. «È un Ercole che alza la clava sull’Idra dalle cento teste, e la stramazza a’ suoi piedi, dopo averle acerbamente rimproverato tutti i mali che ha fatto alla specie umana».[1] Ben di rado si serve del ridicolo. La sua arme prediletta è l’amaro sarcasmo; quando non preferisce di svergognare i facinorosi col mettere al nudo la loro ributtante mostruosità. Ciò è cagione che talvolta dice troppo scopertamente e alla libera certe cose che la buona creanza condanna. Se non che tale libertà è in qualche modo scusata dalla natura del soggetto, e dallo stato morale di quel secolo sciaurato, nel quale a scuotere i tristi ci voleva altro che urbanità di frasi e verecondia di parole. Il suo stile porta l’impronta di quello sdegno che gli «faceva i versi».[2] Pigliando dalla poesia la

  1. Achaintre.
  2. Sat. I, 79.
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