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prefazione lv

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Satire (Giovenale).djvu{{padleft:55|3|0]]mano la madre e il medico di casa.[1] Troviamo i poeti anche di vaglia ridotti a fare i conduttori di bagni e di forni; perchè i ricchi avari, che dovrebbero essere i lor Mecenati, non sanno altro che ammirare e lodare i dotti, come i ragazzi il pavone; o tutto al più fanno lo sforzo di prestare ad essi la sala sporca di una lor casa sfittata per darvi un’accademia; e invitano i clienti e i liberti per far numero e batter le mani: ma il nolo delle seggiole e delle panche, e la spesa per rizzare il palco, restano a carico di quei disgraziati.[2] Con grande scapito della gravità romana vediamo di giorno i nobili del più puro sangue trojano a cassetta in luogo dei cocchieri, e serrare da sè la martinicca; li vediamo nella stalla in compagnia dei mozzi sciogliere i covoni del fieno, e versare l’orzo nelle mangiatoje dei cavalli. Di notte poi gl’incontriamo nelle biscazze, nei bagordi e nelle taverne a straviziare in combutta colla peggio feccia del trivio e del remo: e dopo essersi così rovinati, finiscono sotto la ferrea disciplina di un maestro di scherma; e hanno dicatti di sfamarsi alla scodella dei gladiatori, degli atleti, degl’istrioni e dei mimi.[3] Giovenale insomma ci ritrae tutta la società romana del suo tempo, dal tugurio alla

  1. Sat. VI, 233, 277.
  2. Sat. VII, 3, 30, 39.
  3. Sat. VIII, 10, 146, 158, 171, 185. Sat. XI, 8, 20.
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