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lxvi prefazione

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Satire (Giovenale).djvu{{padleft:66|3|0]]tanto che nell’edizione di Giovenale ch’egli curò a Lipsia nel 1862, confessa di non avere avuto altro in mente che di far meglio conoscere l’egregio lavoro del suo predecessore; e, tranne l’ortografia e la punteggiatura, non essersi da quello allontanato che in pochissime cose e di quasi nessuna importanza.[1]

Ebbi già occasione di ricordare sulla testimonianza di due delle antiche notizie, che le Satire di Giovenale incontrarono molto fin da quando erano udite dalla sua viva voce: e quand’anco mancasse siffatta testimonianza, dovrebbe bastare a darcene sicurezza un passo di Quintiliano contemporaneo del Nostro; il quale, parlando dei poeti satirici, afferma che anche a’ suoi giorni «ve n’erano dei chiari, e che avrebbero un nome nel tempo a venire»:[2] le quali parole, sebbene non sia da lui nominato alcuno, non possono riferirsi che a Giovenale e Persio. Per ciò che riguarda gli anni successivi, Ammiano Marcellino, scrittore del quarto secolo, narra che a suo tempo nessun altro libro era letto con tanta passione:[3] e come nel medio evo fosse tenuto in gran conto, lo mostrano le lodi che danno al Poeta, per tacere dei grammatici, il venerabile Beda, Liutprando, Adamo da Brema, e Giovanni di Sali-

  1. D. I. Iuvenalis Satirae, Praef. Lipsiae, 1862, pag. 21.
  2. «Sunt clari hodieque et qui olim nominabuntur».
  3. Amm. Marcellini Hist., lib. XXVIII, 4.
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