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prefazione | lxxvii |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Satire (Giovenale).djvu{{padleft:77|3|0]]comodo di vivere sciolti da qualunque legame anche temporaneo e mantenersi celibi per correre liberamente nei giardini di Venere, e scapriccirsi come meglio veniva loro il destro. E non giovò che Augusto cercasse di arrestare coi suoi editti la funesta tendenza, dando da un lato dei privilegi ai padri e alle madri di famiglia uniti con vincolo solenne, e minacciando dall’altro delle penalità a coloro che non si ammogliavano. Quei romani che senza opporsi eransi lasciati togliere tutte le altre libertà, non seppero rinunziare a quella del celibato. È vero che l’esempio di Augusto non era da incoraggiare i sudditi al rispetto delle leggi sui maritaggi. Esso non contento di avere ripudiato tre mogli, e rapita la quarta, che fu Livia, al marito Claudio, conduceva una vita di libertinaggio e d’intrighi amorosi.[1] Ma quand’anche il legislatore fosse stato irreprensibile, non sarebbe riuscito nell’intento: poichè la corruzione era omai divenuta troppo generale, ed avea penetrato fino nelle ossa.
Avendo dunque la frequenza dei divorzj e l’uso del celibato ridotto lo donne romane alla condizione di mantenute, e fatto loro perdere la coscienza della propria dignità, non deve far maraviglia se a poco a poco si sfrenarono ad ogni libidine, e si messero sotto i piedi ogni onestà. Potevano forse trovare una remora nella