< Pagina:Satire (Giovenale).djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.
xc prefazione

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Satire (Giovenale).djvu{{padleft:90|3|0]]così minuti, pedanteschi e ridicoli, che non par credibile potessero trovare ospitalità nella mente di uomini, non dirò serj come Quintiliano, ma di buon senso.[1] Da ciò ne nasceva un’educazione del tutto falsata; una fantasia piena di casi ricercati e violenti, di passioni fittizie e smodate; un gusto tendente alle sottigliezze, all’esagerazione, ai luoghi comuni; a rilevare nelle cose piuttosto il lato cattivo che il buono; uno stile sforzato, smanceroso e sempre in cerca di un certo sublime,[2] che obbligasse il lettore, come dice Persio, ad allargare i polmoni e ansimare.[3] Or fu già notato che Giovenale passò gli anni della sua gioventù sotto il tirocinio di tali maestri, e in questi esercizj di declamazione. Era dunque impossibile ne uscisse mondo di ogni infezione, e senza che gli si attaccasse nulla di quell’enfasi artificiale, di quelle forme iperboliche e convenzionali, che formavano il carattere, e sto per dire, la sostanza dell’educazione letteraria di tutti, ed erano il vezzo del tempo. E infatti, chi voglia di lui giudicare senza passione, dovrà riconoscere che tali difetti a quando a quando trapelano nelle Satire, e maggiormente nelle ultime, scritte in vecchiaja; quando l’ingegno e l’immaginazione del Poeta, perdendo ogni giorno alquanto della sua

  1. Quintil., Inst.
  2. Nisard, op. cit.
  3. Sat. I, 13.
Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.