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prefazione | xciii |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Satire (Giovenale).djvu{{padleft:93|3|0]]corruzione romana a traverso le nuvole ingannatrici di uno spirito scontento e pessimista. No; egli non inventa, non mentisce, non calunnia: parla della depravazione del suo tempo assolutamente come ne parla la storia. Tacito, Plinio il giovane, Marziale, Petronio, Luciano, Dione Cassio, Seneca, Svetonio e molti altri vengono continuamente a dargli ragione. Giovenale è prima di tutto un poeta storico.[1]
Ma le accuse più gravi e atroci, mosse al grande satirico, non sono quelle che abbiamo cercato di ribattere fin qui, e riguardano il suo gusto di scrittore: sono bensì quest’altre, che lo feriscono nella parte più vitale di un uomo dabbene, nella onestà. Si è detto che è licenzioso, senza pudore; che fa suo diletto d’intinger la penna nel letame delle più sozze oscenità, e dei delitti più inumani; che dimostra con ciò un istinto selvaggio e crudele; che per conseguenza la sua lettura è pericolosa e nociva. Queste esagerazioni fecero con ragione montare la senapa al naso ai due più caldi, ma giusti ammiratori dell’Aquinate, il Dussaulx e l’Achentrio; i quali rintuzzarono trionfalmente e ruppero le armi dei suoi detrattori, talchè dalle loro difese la fama del Poeta esce fuori non pur senza macchia, ma in certo modo più splendida. Agli scritti di costoro ricorra adunque chi avesse in tal proposito dei
- ↑ Op. cit. Introduzione, p. 44.