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il principio di relatività e i fenomeni ottici 69

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Scientia - Vol. IX.djvu{{padleft:77|3|0]]raggi sovrapposti danno luogo, permettono di valutare con somma esattezza la differenza dei tempi impiegati dai due raggi a percorrere le rispettive vie, le quali, nelle parti ove divergono, possono riguardarsi come i due cateti di un triangolo rettangolo isoscele. Il triangolo può esser poi ruotato intorno al suo vertice in guisa da attribuire orientazioni arbitrarie ai suoi cateti, uno dei quali può esser portato a coincidere colla direzione del moto annuo della Terra. L’esperienza fu condotta con tale accuratezza, che essa avrebbe permesso di rivelare se due raggi luminosi propagantisi in direzioni perpendicolari presentassero una differenza di velocità dell’ordine di un diecimillesimo del valore totale (30 km. su 300,000 km.), quale era prevista dalla teoria di Fresnel e dalla prima forma della teoria di Lorentz. Orbene, il risultato fu negativo. Le due velocità risultarono uguali, entro il grado di approssimazione compatibile coi mezzi impiegati.[1]

È dunque lecito concludere che sulla superfìcie terrestre la propagazione luminosa avviene colla stessa velocità in tutte le direzioni, conformemente alle esigenze del principio di relatività.

Le conclusioni precedenti sono valide, come dicemmo, sulla superficie terrestre, ed anzi per sorgenti luminose immobili rispetto alla terra. Lo spirito filosofico però non si è accontentato eli raccogliere i frutti di queste memorabili esperienze. Con quell’audacia, che può portare all’errore, ma che spesso ha condotto ai maggiori trionfi della scienza, esso ha voluto estendere i risultati all’intero universo, affermando che i fenomeni ottici soddisfano dovunque al principio di relatività. Si ammette, in particolare, che la propagazione luminosa nel vuoto avvenga in tutte le direzioni colla stessa velocità, per un osservatore in quiete rispetto alla sorgente, qualunque sia lo stato di moto uniforme rettilineo di questa.

Solo i progressi delle nostre conoscenze astronomiche potranno dirci se l’audacia sia giustificata, come varie considerazioni sin d’ora indurrebbero a credere.

  1. Tenendo conto del doppio cammino dei raggi luminosi lungo i due cateti, si vede che, nell’ipotesi di Fresnel-Lorentz, la differenza dei tempi fornita dall’esperienza doveva avere, rispetto a ciascuno di questi tempi, un valore del secondo ordine, cioè comparabile col quadrato del rapporto . Precisamente, attribuendo ai cateti la lunghezza di 11 m., si sarebbe dovuto riscontrare una differenza, di circa secondi. La possibilità di misurare un intervallo così estremamente piccolo può dare una idea del grado di perfezione a cui l’ottica è arrivata!
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