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esiste una filologia indiana? 353

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Scientia - Vol. X.djvu{{padleft:361|3|0]]popolo. I due indirizzi, che chiameremo rispettivamente glottologico e filologico, si trovarono alcuna volta, in quel primo stadio della glottologia indo-europea e della filologia sanscrita, rappresentati insieme in un sol uomo: ed era possibile, ed era lecito, perchè solo partendo dalla conoscenza del sanscrito si potevano mettere le basi del grande edificio glottologico moderno. Ma ben presto le due correnti si separarono, le due discipline presero forma autonoma: i glottologi si impadronirono dei dati e degli elementi linguistici che il sanscrito loro forniva, mentre una nuova schiera di studiosi, allettati da una letteratura che le prime ricerche e i primi testi pubblicati lasciavano intravvedere grandissima, proseguirono nella indagine diretta della civiltà indiana. Nè la fusione dei due indirizzi su mentovati era più possibile: l’attività dei ricercatori aveva rivelato in pochi anni una congerie così grande di testi, una così rigogliosa varietà di manifestazioni letterarie, una civiltà così complessa ed evoluta, che il voler essere a un tempo glottologo e sanscritista, apparve ben presto più che un’audacia. E a compiere quest’opera di individuazione scientifica della filologia sanscrita, bastarono pochi decenni. Possiamo dire che per essa l’indirizzo umanistico e l’indirizzo critico furono contemporanei, perchè i dotti che si davano avidamente allo studio di una letteratura la quale quasi ogni giorno rivelava nuovi tesori[1], potevano approfittare dell’esperienza scientifica e della secolare tradizione delle due più antiche filologie, greca e latina. Il campo di ricerche, già così vasto per la vastissima letteratura sanscrita (sono tre mila anni di ininterrotta tradizione letteraria) si allargò ancor più allorché si vide — uè si tardò molto a vederlo — che accanto alla sanscrita si erano svolte

  1. Per avere un’idea dei progressi rapidissimi compiuti dalla filologia indiana, bastino pochi cenni. Nello scritto pubblicato da Ava. Wilh. von Schlegel nel 1819, Ueber den gegenwärtigen Zustand der indischen Philologie, sono enumerate appena una dozzina di opere sanscrite, fra edizioni e traduzioni. Nel libro di F. Adelung, Versuch einer Literatur der Sanskrit-Sprache (Pietroburgo, 1830) sono dati i titoli di più che 350 opere. Nel 1852, il Weber, nella sua Indische Literaturgeschichte, parla di circa 500 opere sanscrite. Si scorra ora il Catalogus Catalogorum dell’Aufrecht (1891, 1896, 1903): vi si troverà il titolo di molte migliaia di testi: e si noti che l’Aufrecht esclude dal suo catalogo l’intera letteratura buddistica e tutte le opere non scritte in sanscrito.
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