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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Scientia - Vol. X.djvu{{padleft:368|3|0]]con la Brihat-kathâ di Gunâdhya; ma se questo pare troppo poco efficace, eccone un altro, che si riferisce ad un genere letterario affine. Noi abbiamo un vasto poema, intitolato Allegoria della vita, che costituisce uno dei più ragguardevoli monumenti letterari scoperti in questi ultimi anni: orbene: il testo sanscrito[1] altro non è che il rifacimento di un originale prâcritico.[2] Chi voglia convincersene, può confrontare le due redazioni, che sono ora in corso di stampa a Calcutta, nella «Bibliotheca Indica».

A questo punto si può osservare: concediamo che per la novellistica e per una parte dell’epopea sia necessario chiamare in aiuto anche le altre letterature dell’India; ma la novellistica è tra i generi meno letterari: resta la drammatica, resta la lirica.... Ottimamente: rivolgiamoci dunque agli altri generi, e cominciamo dalla drammatica. Prendiamo a caso, fra i tanti drammi indiani pubblicati, uno qualunque: anzi, meglio, scegliamo quello che è più noto al gran pubblico colto per una strofa del Goethe che lo rese famoso — la Çakuntalâ di Kâlidâsa. Apriamolo, ad es., alla scena del riconoscimento dell’atto VII: Çakuntalâ — l’eroina, notisi — parla in prâcrito, e in prâcrito parlano le altre donne del dramma e i personaggi di condizione inferiore. È questo un principio della tecnica drammatica indiana, che, tranne i personaggi delle classi più elevate, gli altri parlino ciascuno il proprio dialetto: dalla qual cosa risulta che il dramma indiano ci presenta nel mondo più immediato e più evidente la compenetrazione delle due letterature sanscrita e prâcrita. Ora domandiamo: è possibile pretendere di conoscere una letteratura senza conoscerne il teatro? È possibile leggere un dramma indiano ignorando il prâcrito? Potrebbe alcuno rispondere: sì, perchè i commentatori indiani traducono il pracrito in sanscrito. Ma la restituzione sanscrita dei commentatori non è sempre esatta: e poi, uno studioso di letteratura indiana che per intendere un passo di prâcrito ricorre alla

  1. The Upamitabhavaprapancâ Kathâ of Siddharshi, originally edited by the late P. Peterson, and continued by Prof. Doct. H. Jacobi, Calcutta, Bibliotheca Indica, 1899-1909. L’edizione è giunta al fascicolo XIII, e, per quanto m’informa l’illustre indianista dell’Università di Bonn, è imminente la fine della grande pubblicazione.
  2. Samaraicca Kahá, edited by H. Jacobi, Fasc. I-II, Calcutta, Bibliotheca Indica, 1908-9.
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