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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Sino al confine.djvu{{padleft:18|3|0]]chiave dell’uscio attiguo, chiamava Luca con voce sommessa.

— Luca, svegliati! È un sonno mortale, il tuo! Non vuoi mangiare, oggi?

Egli non rispose. E siccome Paska insisteva, Gavina s’affacciò al suo uscio, e le disse stizzita:

— Ma finiscila, stupida! Gran danno se egli non si svegliasse più!

Paska, abituata a questi modi poco amorevoli tra fratello e sorella, non protestò, e ridiscese al pian terreno lasciando sugli scalini di ardesia l’impronta dei suoi piedi nudi, umidi. Gavina la seguì, preparò il caffè, e accompagnandosi al rumore monotono del macinino canticchiò uno stornello in dialetto, col solo motivo melanconico e primitivo ch’ella sapesse ripetere:

Su surdadu in sa gherra,

Nan chi s’est olvidadu,
Non s’ammentat de Deus.

Torrat su corpus meu,
Pustis chi est sepultadu,

A sett’unzas de terra.[1]

Questa cantilena ricordava il canto basso e monotono di qualche donna araba intenta a preparare il caffè sul limitare di una tenda ombreggiata da palme e da cactus. E lo sfon-

  1. Il soldato, in guerra, — Dicono che si è dimenticato, — Non si ricorda di Dio. — Si riduce il corpo mio, — Dopo che è seppellito, — A sette oncie di polvere.
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