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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Sino al confine.djvu{{padleft:61|3|0]]aiutò galantemente a smontar da cavallo, ed a Gavina rivolse questi versi gentili:
Dami sa manu, bellita, bellita,
Dami sa manu torramila a dare
Dami sa manu ca t’app’a dare
Unu bestire ’e seda biaitta,
Dami sa manu, bellita, bellita![1]
Alla padrona disse:
— Le viti sembrano pecore nere sdraiate per terra, tanto son cariche d’uva.
Più tardi egli, la signora Zoseppa e Luca, sopraggiunto, inclinarono e bagnarono i tini. Il vecchio scherzava, e talvolta le sue espressioni erano così libere che la padrona corrugava le sopracciglia.
Luca lavava l’interno dei tini con una scopa bagnata, e taceva, come inebbriato dall’odore di mosto che il legno ancora esalava; ma nel pomeriggio egli parve stancarsi: attese con astuzia un momento in cui nessuno lo vedeva e bevette il vino che sua madre aveva nascosto nell’armadio; poi si coricò e si addormentò. Gavina, dopo aver lavorato anche lei tutto il giorno, andò a sedersi su una pietra addossata al grosso tronco della quercia. Di lassù le pareva d’essere in mezzo a un mare verde: il sole rosso e senza raggi tramontava sulle montagne violacee, stendendo un velo di luce
- ↑ “Dammi la mano, bellina, bellina, - Dammi la mano e dammela ancora, - Dammi la mano, che ti darò - Un vestito di seta celeste, - Dammi la mano, bellina, bellina„.