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cxliv Prefazione

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Sonetti romaneschi I.djvu{{padleft:156|3|0]]fratello;[1] ma, s’intende, fratello minore, giacché ne’ loro dialoghi recita quasi sempre la seconda parte. Né da questo dialogare deve argomentarsi, come fa qualche scrittore, che Marforio si trovi o si sia mai trovato vicino al suo vecchio amico. Prima che sotto Sisto V (1585-90) lo trasportassero in fondo al cortile del Museo Capitolino, dove tuttora si vede, Marforio giaceva da tempo immemorabile di faccia al Carcere Mamertino, sul principio della via o salita, che da lui prese ed ha ancora nome; e di lì appunto era cominciata, molto tempo innanzi, la sua conversazione con Pasquino, il quale però si trova a un buon miglio di distanza tanto dal Carcere, quanto dal Museo, che sono invece vicinissimi tra loro. E dunque certo che i due compari non si conoscono di persona; e quindi non si può supporre che ne’ loro dialoghi le domande venissero affisse su Marforio e le risposte su Pasquino: domande e risposte invece si affiggevano raramente sul primo, anche quando si trovava all’aria libera; quasi sempre sul secondo, che era ed è in luogo più centrale e più frequentato. Con l’andar del tempo, quando cioè l’esser colto nell’atto d’affiggere una pasquinata poteva costare una mano, o tutt’e due, o la lingua, la testa, si cominciò a tenere un modo più comodo e meno pericoloso. L’autore della satira, fingendo d’averla trovata affissa qua o là, la comunicava in gran segretezza a qualche sfaccendato, e così in ventiquattr’ore la sapeva tutta Roma. Circa poi l’etimologia di Marforio, io credo che abbia assolutamente ragione il Gregorovius,[2] di ripudiare la vecchia e comunissima da Martis Forum (nome dato abusivamente da alcuni, per il tempio


  1. Nella racooltina delle pasquinate di quell’anno, della quale riparlerò or ora, Pasquino dice a Roma:
    Quae mihi das, fratri des volo Marfurio.
  2. Storia della Città di Roma ecc.; Venezia, 1866-76; vol. III, pag 656, nota 2; e vol. VII, pag. 854.
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