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clxxxiv Prefazione

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Poteva dunque tacere Pasquino, davanti a un fatto così enorme e così caratteristico nella storia del Governo papale? Parlò molto, come si vede nel libro dell’Ademollo su i teatri di Roma a quel tempo; e fece parlare anche il povero Tordinona, che, con Giobbe, domandava al Pontefice: Manus tuae fecerunt me,... et sic repente praecipitas me?

Clemente XI (Albani, di Urbino) spediva grosse somme e roba ai parenti nel paese nativo. E Marforio domandava: "Che fai, Pasquino? — "Eh, guardo Roma, che non vada a Urbino!„

Il carattere poi di questo Pontefice fu giudicato, veridicamente, così:

Est Clemens fortasse bonus, sed Pastor ineptus
  Incipit, audet, agit maxima, plura, nihil.[1]

E quando, per una grave malattia, nel 1719 si credette che Clemente morisse (eletto nel 1700, morì realmente nel 21), Pasquino mise subito in giro questi due epigrammi:

 Sia Papa chi vorrà;
Cho sia peggio di questo, io me la rido;
Ma tant’anni, perdio, non camperà!

Dacci un Papa miglior, Spirito Santo,
Che ci ami, tema Dio, nè campi tanto.[2]

  1. Da un copiosissimo saggio, pubblicato dal signor C. Romussi
    nelV Emporio Pittoresco di Milano (marzo-maggio 1878), di un Ms.
    di 822 pagine di Satire, fatte per le sedi vacanti di Clemente XI, e
    Innocenzo e Benedetto XIII, e posseduto dall’abate Regonati. Ma,
    nel cit. Ms. della Magliabechiana, questo distico si trova, con poca
    differenza, fatto già contro Gregorio XIV:

    Vir simplex, fortasse bonus, sed pastor ineptus
    Videt, ait, peragit omnia, multa, nihil.
  2. Goyot de Merville, Op. cit., tom. II, pag. 118-19.
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