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ccxcii | Introduzione dell'Autore |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Sonetti romaneschi I.djvu{{padleft:304|3|0]]
A che mandar tante ignominie fuore,
E far proteste tutto quanto il die
Che s’è oscena la lingua è casto il cuore?nota
Facile però è la censura, siccome è comune la probità di parole. Quindi, perdonate io di buon grado le smaniose vociferazioni a quanti Curios simulant et bacchanalia vivunt,nota mi rivolgerò invece ai pochi sinceri virtuosi fra le cui mani potessero un giorno capitare i miei scritti, e dirò loro: Io ritrassi la verità. Omne aevum Clodios fert, sed non omne tempus Catones producit.nota Del resto, alle gratuite incolpazioni delle quali io divenissi oggetto replicherò il tenor della mia vita e il testimonio di chi la vide scorrere e terminare tanto ignuda di gloria quanto monda d’ogni nota di vituperio.
Molti altri scrittori ne’ dialetti o ne’ patrii vernacoli abbiam noi veduti sorgere in Italia, e vari di questi meritar laude anche fra i posteri. Però un più assai vasto campo che a me non si presenta era loro aperto da parlari non esclusivamente appartenenti a tale o tal plebe o frazione di popolo, ma usate da tutte insieme le classi di una peculiare popolazione: donde nascono le lingue municipali. Quindi la facoltà delle figure, le inversioni della sintassi, le risorse della cultura e dell’arte. Non così a me si concede dalla mia circostanza. Io qui ritraggo le idee di una plebe ignorante, comunque in gran parte concettosa ed arguta, e le ritraggo, dirò, col soccorso di un idiotismo continuo, di una favella tutta guasta e corrotta, di una lingua infine non italiana e neppur romana, ma romanesca. Questi idioti o nulla sanno o quasi nulla: e quel pochissimo che imparano per tradizione serve appunto a rilevare la ignoranza loro: in tanto buio di fallacie si ravvolge. Sterili pertanto di[1] [2] [3]