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14 Sonetti del 1828

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ER PENNACCHIO.[1]

  Ah Menicuccio mia, propio quer giorno,
La viggijja de Pasqua Bbefania,
Quella caroggna guercia de Luscia,
4Lo crederessi?, me mettétte un corno.

  Porca fottuta! e me vieniva intorno
A ffà la gatta morta all’osteria
Pe rrempì er gozzo a la bbarbaccia mia,
8’Ggni sempre come la paggnotta ar forno.[2]

  E intratanto co’ mmastro Zozzovijja
Me lavorava quele[3] du’ magaggne
D’aruvinà un fijjaccio[4] de famijja.

  12Ecco, pe’ ccristo, come so’ ste caggne:
Amore? ’n accidente che jje pijja:
Tutte tajjole[5] pe’ ppoi fàtte piaggne[6].

7 agosto 1828.



  1. [In origine lo aveva intitolato così: Ar sor Dimenico Cianca (Biagini) — Antro sonetto pe’ ggiónta; e alla fine del primo verso, alla parola giorno, ci aveva messo la nota: “Il 4 agosto 1828;„ e il secondo verso diceva: Che te mannai er sonetto in povesia. Questo sonetto, dunque, si legava al precedente, e al pari di esso era un lavoro d’occasione, in cui il poeta parlava per conto suo. Lo corresse poi in questo modo, come ne corresse altri, per adattarlo al disegno generale dell’opera, nella quale non parla il poeta, ma il popolo.]
  2. Per regola fissa, come è il prezzo della pagnotta al forno.
  3. [Il Belli avverte altrove “che dovunque trovinsi le voci quello, quella, ecc., scritte con una sola l, si debbono profferire rapidamente, sdrucciolandovi sopra senza alcuna idea di potenza accentuale, di modo che formino quasi una sola parola col vocabolo seguente.„]
  4. [Qui vale: “un povero figliuolo.„]
  5. Tagliuole.
  6. Farti piangere.
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