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Sonetti del 1831 | 97 |
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LE SPACCONERÌE.[1]
’Gni sordo-nato dice che ssei l’asso,[2]
E vòrti[3] l’ammazzati co’ la pala!
Prz,[4] te fischieno, Marco: tiètte bbasso:
4C’ereno certi frati de la Scala.[5]
Te vedo, Marco mia, troppo smargiasso,[6]
E cquarchiduna de le tue se sala.[7]
Lassa de spacconà, nun fà er gradasso,
8E aricòrdete er fin de la scecala.[8]
A ssentì a tté, fai sempre Roma e ttóma,[9]
E poi ch’edè? viè spesso e vvolentieri
Chi tt’arizzòlla[10] e tté ne dà ’na soma.
12Ognomo hanno d’avé li su’ mestieri:
Chi fa er boia, chi er re, chi scopa Roma:
Sei bbraghieraro tu? ffa’ li bbraghieri.
Morrovalle, 23 settembre 1831.
- ↑ “Millanterie:„ come [nel settimo verso] spacconà sta per “millantare.„
- ↑ Asse: principal carta a vari giuochi. [No. Asso anche in Toscana, e, credo, in tutta Italia. L’asse è altra cosa.]
- ↑ [Vòlti], rivolgi.
- ↑ Il suono del peto.
- ↑ Parte di ciò che si suol dire e cantare a chi millanta, cioè: C’erano certi frati della Scala, che dicevano cala cala. - Il Convento della Scala è in Trastevere, abitato dai Teresiani.
- ↑ Smargiasso, smargiassata, smargiassare, tutti vocaboli sinonimi di “spaccone ecc.„ Se non che lo smargiasso è “un millantatore che al romore delle parole unisce certa importanza di mimica.„
- ↑ Si sala onde fermare la corruzione.
- ↑ A’ ciarloni si ricorda il fine della cicala, che canta canta e poi crepa.
- ↑ Mari e monti.
- ↑ Ti dà le busse.
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