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104 Sonetti del 1831

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ER ZERVITORE IN ZALA.

  Chi è? — Amici. — Favorischi puro:[1]
Entri drento, lustrissimo. — Addio, Tacchia.
— Oh ggente![2] sto paìno[3] c’aricacchia,[4]
4Lui mette er chiodo, e la padrona er muro.[5]

  Er povero sor Conte st’osso duro
Nun vorrebbe iggnottillo,[6] ma ss’abbacchia.[7]
Già cch’ha arzato le penne de cornacchia,
8Nun vò ffà rride er monno, io me figuro.

  Pe’ mmé nnun parlo mai, perch’ho pprudenza;
Ché ssi vvolessi dì, cce n’ho, Mmadonna!,
D’empìnne un cassabbanco[8] e ’na credenza.

  12Bbasta, l’amico ch’è mo entrato, affonna;[9]
Lui[10] abbòzza;[11] ma llei ch’è dde cuscenza,
A uno la fa cquadra e all’antro tonna.[12]

A Valcimara, 28 settembre 1831.



  1. Pure.
  2. [Oh amici!]
  3. Zerbino. [V. la nota 2 del sonetto:Er guitto ecc., 17 febb. 30.]
  4. Ricacchiare, vale: “risbocciare, ricomparire dopo essersi alquanto dilungato.„
  5. Metafora indicante intrigo carnale.
  6. Inghiottirlo.
  7. Si accomoda, cede, abbassa l’umore.
  8. Panca ove si assidono i servi nelle sale. [Cassapanca.]
  9. Dà dentro.
  10. Lui, assolutamente, nella bocca de’ servi, vale sempre: “il padrone,„ come in quella delle mogli significa: “mio marito.„
  11. Questo verbo corrisponde perfettamente al senso dell’endurer dei Francesi.
  12. Farla tonda, cioè “farla pulita.„ Inganna entrambi.
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