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146 | Sonetti del 1831 |
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LA MUSICA
In ner mentre aspettavo si er padrone
Volessi la carrozza o ttornà a ppiede,
Stavo all’apparto de li bbusci[1] a vvede
4’Na fetta de commedia[2] a Ttordinone.[3]
De llì a un po’ venne sù dda lo scalone
Un paìno scannato[4] pe’ la fede,
Discenno a un antro: “Nun lo vònno crede,
Ma a Ddavide[5] nun c’è ppiù pparagone.
La vorta che ffu cqui prima de questa,
Cacciava, come ttutti li tenori,
13Note de petto, e mmo ssolo de testa.„—
“Dunque, dimanno scusa a llòr ziggnori„,
Io fesce[6] allora, “tutta sta tempesta
16La potrebbeno fà ll’arifreddori„.
Terni, 6 ottobre 1831
- ↑ Stare all’appalto de’ buchi: spiare attraverso le fessure e i buchi delle chiavi.
- ↑ [Anche l’opera in musica per i Romaneschi è commedia.]
- ↑ [Il Teatro di Tor-di-Nona, o Apollo, che allora nella sua goffa ricchezza era il più signorile di Roma, e che oggi, grazie al cielo, sta per essere demolito.]
- ↑ Uno zerbino di pochi soldi. [spiantato. — V. la nota 2 del sonetto: Er guitto ecc., 17 febb. 30.]
- ↑ Il tenore Giovanni David. [Contro il quale il Belli scrisse an-
che tre altri sonetti: A li sori Anconitani,.... magg. 30, e Er
10zor Giuvanni ecc., 29 ott. 84.] - ↑ [Io feci]: io dissi.
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