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Sonetti del 1831 161

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NUN ZE BBEVE E SSE PAGA

  Vedemo un po’, ssor oste da finocchi,[1]
Fùssimo[2] Cacasenno e Bertollino!
Mezzo bbicchiere quinisci bbaiocchi![3]
4Quant’a la bbotte l’arivenni er vino?

  Fa ccommido eh, sor Lappa,[4] er fiaschettino
Quanno càpita er passo de l’alocchi?!
Chi smezza, paga:[5] tu ppoi l’aribbocchi,[6]
8E ccusì un fiasco te viè a ddà un quartino.[7]

  Tu dunque doveressi avélle[8] intese
Quele sstorie inventate da Margutte,
11Dove disce accusì, che a cquer paese,

  A ttempi der Patriarca Sorfautte,
Se cantava st’antifona a le cchiese:
14“Un cojjone che vviè, le paga tutte.„[9]


In legno, da Civita-Castellana a Monterosi,
10 ottobre 1831


  1. [Da nulla. Come nelle frasi, comuni anche in Toscana: non vale un finocchio, non me ne importa un finocchio, ecc.]
  2. [Se mai fossimo, se mai ci avesto peosi per ecc.]
  3. [Poco più di settantacinque centesimi.]
  4. [Furbo. Ma nel senso proprio non so se equivalga al lappola do’ Toscani. È certo però che significa una o più specie di piccoli frutti mezzo salvatici e di sapore acre. Donde il verbo allappare.]
  5. [Chi smezza il fiasco, lo paga come se l’avesse bevuto in- tero. È un proverbio degli osti, coniato sull’analogia del Chi rompe, paga.]
  6. Lo riempi.
  7. Cinque paoli. [Poco più di due lire e mezzo.]
  8. Dovresti averle.
  9. [Corrisponde un po’ al proverbio, che si suol mettere in bocca a’ bottegai, negozianti ecc.: Chi ppaga, chi nun paga e cchi strapaga.]
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