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Sonetti del 1831 201

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ER BIASTIMATORE

  Quer giorno in Croce che Ggesù fu mmesso[1]
E in faccia de Maria se crocefisse,
Du’ parole turchine che llui disse
Se scurì er Sole co’ la luna appresso.

  Quello scurore se chiamò le crisse:[2]
E ecchete perchè cquann’uno adesso
Vò ddì peccristo je viè a stà l’istesso
Discenno, senza bbiastimà, pe’ ccrisse.[3]

  Quanno se possi a fforza de talento
Trovà uno sguincio[4] pe’ nnun fà ppeccato,
Chi è er cristiano che nun zii contento?

  Duncue, che sserve a dì ppe’ ddio sagrato?
Ciariparlamo ar brutto sagramento,[5]
A llume de cannela[6] cór curato.


Roma, 21 novembre 1831 - De Pepp’er tosto medemo

  1. Sintassi non infrequente nei romaneschi.
  2. L’eclissi.
  3. Modificazione di bestemmia.
  4. Così chiamasi un piccolo adito o vacuità a sghembo. Nel nostro caso equivarrebbe anche a “scappatoia„.
  5. L’olio-santo.
  6. All’ardere del lume che si accende nell’agonia.
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