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Sonetti del 1831 217

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CHE CCRISTIANI!

  ‘Gna sentì mmessa e arispettà er governo
Chi vvô ssarvasse[1] l’anima, Donizzio,[2]
Si nnò vviè Cristo ar giorno der giudizzio
E ce bbuggera a ttutti in zempiterno.

  Metti, cumpare mio, metti ggiudizzio,
Caso te puzzi er foco de l’inferno,
Ché, mmettemo[3] la sfanghi in ne l’inverno,
Ar tornà de l’istate è un priscipizzio.

  Povero Ggesucristo! dar zu’ canto
S’è ammascherato sin da vino e ppane:
Be’, dov’è un cazzo[4] che sse fa ppiù ssanto?

  Le donne sò, pper dio, tutte puttane,[5]
L’ommini ladri:[6] e ttutto er monno intanto
De Cristo se ne fa strenghe de cane.[7]

25 novembre 1831 – Der medemo

  1. Salvarsi.
  2. Dionisio.
  3. Ponghiamo che, ecc.
  4. Nessuno. Dove si trova più un qualunque uomo che, ecc.
  5. Iperbole non secondo l’opinione dell’autore.
  6. Iperbole non secondo l’opinione dell’autore.
  7. Se ne fa ogni strapazzo.
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