< Pagina:Sonetti romaneschi II.djvu
Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta.
2 Sonetti del 1832

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Sonetti romaneschi II.djvu{{padleft:12|3|0]]

LA PARTICOLA

  Avess’inteso quelo storto cane
Che sse messe l’antr’anno er collarino
Come spiegava chiaro er Belarmino,[1]
J’averessi sonato le campane.

  “Nun te fidà ddell’occhi e dde le mane,„
Disceva a un regazzetto piccinino:
“Quello che ppare pane nun è vvino,
Quello che ppare vino nun è ppane.

  Cos’è la riliggione senza fede?
Sarebbe com’a ddì cquattro e ddua venti,
E mmette[2] un fiasco senza vesta in piede.

  Pe’ cquesto, fijjo, quer che vvedi e ssenti
È inganno der demonio, e nnu’ lo crede.[3]
Quelli so’, fijjo mio, tutti accidenti.„

5 gennaio 1832

  1. ↑ La dottrina cristiana del cardinal Bellarmino.
  2. ↑ Mettere.
  3. ↑ Non crederlo.
Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.