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114 Sonetti del 1832

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Sonetti romaneschi II.djvu{{padleft:124|3|0]]vem et Iunonem et duodecim deos iratos habeat quisquis hic minxerit aut cacarit.      6 [Sub tuum praesidium, antifona che precede il rosario.]      7 La corona del rosario.      8 Scala creduta del pretorio di Pilato, che si sale in Roma colle ginocchia.      9 A capo al letto.      10 Tacere [ma a proprio dispetto]. ——

LA SANTISSIMA TERNITÀ

  “’Gni cosa ar monno ha er zu’ perchè, ffratello„,
Me disse marteddì Ffrà Ppascualone:
“li ggiudii adoraveno un vitello,
Noi un boccio,[1] una pecora e un piccione.

  Er boccio è ’r Padreterno cór cappello,
Che nnascé avanti all’antre du’ perzone;
E Ccristo è la figura de l’agnello,
Che sse fesce scannà ccome un cojjone.

  E ’r piccione vò ddì che ttanto cuanto
Che la gabbia der crede ce se schioda,
Addio piccione, addio Spiritossanto.

  E allora sti dottori de la bbroda
Currino appresso a mmetteje cór guanto
Un pizzico de sale in zu la coda„.[2]


In vettura, da Terni e Narni, Der medemo - 12 novembre 1832


  1. Vecchio.
  2. Cosa che si diceva a’ fanciulli per ischerzo, allorchè vogliono avere uccelli liberi. “Allorchè gli avrai messo un poco di sale sulla coda, quell’uccello non si muoverà più„.
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