< Pagina:Sonetti romaneschi II.djvu
Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta.

Sonetti del 1832 159

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Sonetti romaneschi II.djvu{{padleft:169|3|0]]

È 'GNISEMPRE UN PANGRATTATO

  Pe’ nnoi, rubbi Simone o rrubbi Ggiuda,
Magni Bbartolomeo, magni Taddeo,
Sempr’è ttutt’uno, e nnun ce muta un gneo:[1]
Er ricco gode e ’r poverello suda.

  Noi mostreremo sempre er culiseo
E mmoriremo co’ la panza ignuda.
Io nun capisco duncue a cche cconcruda
D’avé dda seguità sto piaggnisteo.

  Lo so, lo so cche ttutti li cuadrini
C’arrubbeno sti ladri, è ssangue nostro
E dde li fijji nostri piccinini.

  Che sserveno però ttante cagnare?
Un pezzaccio de carta, un po’ d’inchiostro,
E ttutt’Ora-pro-mè:[2] ll’acqua va ar mare.[3]


Roma, 27 novembre 1832

  1. Neo.
  2. Tutto mio.
  3. Proverbio.
Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.