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176 Sonetti del 1832

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LA POVERA MADRE.

2.

  Che mm’è la vita, da che sta in esijjo
Cuell’innoscente der marito mio!
Perché sto ar monno e nnun m’ammazza Iddio
Mo cche ssò ssola e cche mm’è mmorto er fijjo?

  Ah Vvergine Mmaria der bon Conzijjo,
Mamma, nun m’abbadà:[1] ché nun zo’ io,
È er dolore che pparla: ah! nnun zò io,
Si cco’ la Providenza io me la pijjo.

  Llà Ggiggio mio ggiocava: in cuesto loco
Me se bbuttava ar collo: e cqui l’ho vvisto
A sparimme davanti a ppoco a ppoco!

  Cosa saranno le smanie de morte!
Chi ppò ddì[2] la passion de Ggesucristo,
Si er dolor d’una madre è accusì fforte!

Roma, 30 novembre 1832.

  1. [Non mi badare: non mi dar retta. Quanta verità e quanta poesia in questo confidente abbandono della poveretta, che chiama mamma la Madonna! Un sentimento consimile ha fatto un capolavoro della famosa canzone del Giustiniani, attribuita dai più, sino a pochi anni fa, a Iacopone.]
  2. [Può dire quel che sia stata ecc.]
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