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Sonetti del 1832 | 197 |
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L'UFFISCI
Nun c’è ppiù ccarità, ffijja, oggiggiorno:
Sò ttutti órzi[1] coll’anime de cani.
Come nun porti da dajje li spani[2]
Tu ppòi morì, chè nun je preme un corno.
Sércio[3] sta strada scento[4] vorte ar giorno
Inzinenta[5] dall’Arco de Pantani:[6]
E lloro? ogg’e ddomani, ogg’e ddomani:
E io santa pascenza, e cciaritorno.[7]
Credi, si cce so’ ssanti in paradiso,
J’ho rrotto li c...... uno per uno:[8]
Ebbè? nun trovo mai ggnente indisciso![9]
Mo nun c’è udienza, mo nun c’è ggnisuno:
O è ppresto, o è ttardi: un po’ è ffarro, un po’ è riso,[10]
E io logro le scarpe e sto a ddiggiuno.
Roma, 3 dicembre 1832
- ↑ Orsi.
- ↑ Spano,, cioè: “il mangiare che si dà agl’impiegati, o per corromperli, o per farli rispettare il loro dovere.„
- ↑ Selcio, cioè: “batto, consumo.„
- ↑ Cento.
- ↑ Sino. [Cioè: venendo insino ecc.]
- ↑ Avanzo del Foro di Nerva. Fonte/commento: Sonetti romaneschi/Correzioni e Aggiunte
- ↑ Ci ritorno.
- ↑ Li ho annoiati pregando ad uno ad uno.
- ↑ Deciso.
- ↑ Ora è una cosa, ora è l’altra.
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