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Sonetti del 1832 217

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LA SIBBILLA

  Ecchen’un’antra nova che mme porti!
Mo ar monno nun c’è stata la Sibbilla!
Ma nun zentissi[1] er giorno de li Morti
Come lo disce chiaro la diasilla?

  Tu abbada ar coro de sti colli-storti,
Cuanno, più è grosso er moccolo, ppiù strilla;
E ddoppo du’ verzetti corti corti,
Sentirai che vviè ffora una favilla.

  Appresso alla favilla esce una testa,
Ch’è la testa de Davide; e in ner fine
Viè una Sibbilla, e cquella antica è cquesta.

  Va bbe’ che cqueste sò storie latine;
Puro la concrusione è llesta lesta:
La Sibbilla c’è stata, e abbasta cquine.[2]


Roma,7 dicembre 1832

  1. Sentisti.
  2. Qui.
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