< Pagina:Sonetti romaneschi II.djvu
Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta. |
Sonetti del 1832 | 217 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Sonetti romaneschi II.djvu{{padleft:227|3|0]]
LA SIBBILLA
Ecchen’un’antra nova che mme porti!
Mo ar monno nun c’è stata la Sibbilla!
Ma nun zentissi[1] er giorno de li Morti
Come lo disce chiaro la diasilla?
Tu abbada ar coro de sti colli-storti,
Cuanno, più è grosso er moccolo, ppiù strilla;
E ddoppo du’ verzetti corti corti,
Sentirai che vviè ffora una favilla.
Appresso alla favilla esce una testa,
Ch’è la testa de Davide; e in ner fine
Viè una Sibbilla, e cquella antica è cquesta.
Va bbe’ che cqueste sò storie latine;
Puro la concrusione è llesta lesta:
La Sibbilla c’è stata, e abbasta cquine.[2]
Roma,7 dicembre 1832
Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.