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Sonetti del 1832 219

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Sonetti romaneschi II.djvu{{padleft:229|3|0]]in Aracoeli, sul Campidoglio, e recitando ad ogni scaglione o una Requiem aeternam o un Deprofundis, secondo l’agio o il fervore della postulante.      7 I giustiziati hanno una grande cognizione delle future sorti del lotto.      8 Questo è il famoso libro de’ rapporti fra le cose e idee anche astratte ed i numeri del lotto, libro adornato di orride figuracce di arti o mestieri, corrispondenti ad altrettante cifre della serie giuocabile: libro finalmente che san leggere per miracolo anche gl’illetterati. ——

ER ROSARIO IN FAMIJJA

  Avemmaria... lavora... grazia prena...
Nena, vòi lavorà?... ddominu steco...
Uf!... benedetta tu mujjeri... Nena!...
E bbenedetto er frù... vvà cche tte sceco?...[1]

  Fruttu sventr’e ttu Jeso. San... che ppena!...
Ta Maria madre Ddei... me sce fai l’eco?...
Ora pre nobbi... ma tt’aspetto a ccena...
Peccatori... Oh Ssignore! e sto sciufeco[2]

  De sciappotto[3] laggiù ccome sce venne?
Andiamo: indove stavo?... Ah, ll’ho ttrovato:
Nunche tinora morti nostri ammenne.

  Grolia padre... E mmó? ddiavola! bbraghiera!
Ho ccapito: er rosario è tterminato:
Finiremo de dillo un’antra sera.


d Roma,7 dicembre 1832


  1. Formola di sfida, cioè: Quanto va che io ecc.
  2. Checchessia di sgarbato e di goffo. Dicesi però più delle persone che delle cose.
  3. Lavoro imbrogliato.
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