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Sonetti del 1832 221

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LA COJJONELLA

  Nun passa vorta ch’io nun ciariscoti[1]
Sparpaggnàccole[2] e rraschi a bbocche piene.
Bbisogna che sse penzino sti sscioti[3]
Ch’io sce tienghi la mmerda in de le vene.

  E nun vonno capì, ccestoni[4] vòti,
C’un giorno o ll’antro c’a ste bbelle sscene
Me se scuajjeno, cristo, li sceroti,[5]
Bbutto capezza,[6] e mme ne vedo bbene.

  Fremma ne vojjo avé, ma er troppo è ttroppo:
E già ho ffatto capasce[7] er mi’ curato
Che sta fregna[8] finisce co’ lo schioppo.

  Lasseli divertì, per dio sagrato!
Cent’a lloro un’a mmé: ma o pprima o ddoppo
S’hanno d’accorge ar brodo si è stufato.[9]


Roma,7 dicembre 1832

  1. Ci riscuota.
  2. Un tal suono prodotto al fiato che, spinto dalla lingua verso i labbri, li fa violentemente aprire tremolando l’uno sull’altro. È tenuto per segno di spregio o di beffe.
  3. Stolidi.
  4. Teste.
  5. Squagliarsi i cerotti, vale: “perder pazienza.„
  6. Mi sfreno, lascio i riguardi.
  7. Ho persuaso.
  8. Abitudine molesta; insulto; avvenimento spiacevole, ecc. ecc.
  9. Vedranno agli effetti qual è la causa, ecc.
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