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264 Sonetti del 1832

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ER ZERRAJJO NOVO

  Si vvò imparà, ttu ddamme retta, damme;
E io te spiegherò ttutt’er zerrajjo.
Du’ serpenti sce sò ppieni de squamme
Che ccianno un collarino cór zonajjo.[1]

  Poi sc’è la salamandra, si nun sbajjo,
Che ppò vvive tramezzo de le fiamme.
Doppo er leofante, ch’è ttutto d’un tajjo
Senza le congiunture in de le gamme.[2]

  Poi sc’è l’uscello che ttiè un rifettorio
Immezz’ar petto suo pell’antri uscelli,
Com’è cquello che sta ssopr’ar cibborio.[3]

  Doppo, e cquesto sta ppuro in de l’avviso,
Ce sò ddu’ pappagalli tanti bbelli,
Che ttiengheno la razza in paradiso.[4]


Roma, 21 dicembre 1832

  1. Il serpente a sonaglio.
  2. È volgare opinione che l’elefante non abbia articolazione nelle gambe.
  3. Il pellicano.
  4. L’uccello del paradiso.
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